Siamo delle grandi consumatrici di storie in forma seriale.
Soddisfano la nostra voglia di evasione verso mondi diversi, ci permettono di amare o detestare personaggi che vivono vite che non sono le nostre perché noi non possediamo tutte quelle scarpe di Manolo Blahnik e, anche se siamo medici in un grande ospedale, non abbiamo una intensa vita sessuale nello sgabuzzino delle garze.
Noi siamo donne normali. Ogni sera dopo aver messo in tavola la cena per tutti o aver mangiato da sole un surgelato monoporzione, ci rannicchiamo sull’Ektorp Ikea o sul divano di design, stendiamo le gambe, mettiamo la tazza con la tisana a fianco del telecomando sul tavolino, facciamo posto al gatto o lasciamo che il cane si stenda sul tappeto e prima di addormentarci durante una pausa pubblicitaria, guardiamo storie che ci fanno piangere, ridere, divertire. Storie che ci fanno dire delle protagoniste “che stronza” o “che tosta” o “che bel vestito”o “la prossima volta chiedo al parrucchiere che mi tagli i capelli come lei”. Storie a volte talmente complicate o assurde da non credere, ma a cui ogni sera, puntualmente crediamo, prima di addormentarci come bambine a cui ancora occorre una favola per chiudere gli occhi e continuare a sognare.
Le nostre prime eroine sono state Rita Pavone, maschiaccio in “Giamburrasca” e Loretta Goggi con i capelli a paggetto ne “La Freccia Nera” e chi aveva dei fratelli che andavano pazzi per i pirati della Malesia non si perdeva una puntata di “Sandokan”, con la patatosa Lady Marianna, “la Perla di Labuan”.
Marion Cunningham di “Happy Days” era il prototipo della casalinga mamma e moglie felice degli anni Cinquanta, troppo americana per assomigliare alle nostre mamme. L’Angelo di Charlie Farrah Fawcett ci piaceva per il taglio scalato, che restava sempre in ordine anche quando schivava i colpi di judo.
Gli Ottanta delle tv private ci hanno regalato “Dallas” e “Dynasty”, dove il personaggio femminile meno aggressivo sparava al marito, lo cornificava con il migliore amico e/o con l’acerrimo rivale in affari e si azzuffava sulle scale con la nuova moglie del (temporaneamente) ex , cercando di accecarla con la lacca per capelli, prodotto indispensabile per tenere a posto le monumentali “cofane” ricciolute.
Le romantiche che amavano le storie meno glamour, eterne innamorate dell’uomo “vorrei ma non posso”, non si perdevano una puntata di “Uccelli di Rovo”, parteggiando per l’ostinata Maggie che insisteva nel voler fare cambiare idea a Padre Ralph.
Con le quattro ragazze di New York è iniziata l’era degli aperitivi tra amiche e delle scarpe di Manolo Blahnik, fino a quel momento stilista noto solo ad alcune tra le fashion victim più preparate. “Sex and the City” è stato il primo serial veramente “da donne”: erano le donne della nostra età ad essere raccontate, e noi volevamo essere sempre sul tacco dodici. Tutte abbiamo avuto un quasi eterno “tira e molla” con un Mr. Big nostrano. Ma soprattutto tutte noi, almeno una volta nella vita, abbiamo comprato un paio di scarpe costosissime soltanto perché eravamo particolarmente giù di morale e questo chiude definitivamente la questione.
Da donne navigate abbiamo avuto modo di imparare che le storie d’amore sul posto di lavoro sono all’ordine del giorno ovunque, a casa nostra come a Seattle. Ma chi vorrebbe seriamente farsi curare in un ospedale dove tutti sembrano impegnati più in storie d’amore che a curare i pazienti? Questo non ci ha impedito di sorbirci undici ( o sono tredici?) stagioni di Meredith Grey , il prototipo della gatta morta da fiction, che si tromba tutti come se ce l’avessero costretta e con la faccia da “io non volevo ma…”
Ci sarà senz’altro una ragione sociologica o di marketing se sono quattro (come le ragazze di NY) anche le “Desperate Housewives”, le vicine di casa con figli, mariti e cani. Ma anche con un certo numero di cadaveri nel congelatore in cantina. Il loro stile di vita alle volte prevede discussioni casalinghe sulla scuola dei figli, i rapporti con i vicini gay o sul riprendere il lavoro dopo la maternità. Roba normale, insomma. Solidali con Lynette madre lavoratrice e invidiose di Gabrielle sempre a fare shopping, avremmo dato volentieri fuoco alla perfettina Bree e capivamo le ragioni di Susan che si era messa con l’idraulico. E non solo perché un idraulico è difficile da trovare, ma perché è difficile trovarne uno così.
“The Good Wife” moglie pubblicamente umiliata dal marito, politico traditore a mezzo escort dell’elettorato e del matrimonio, prima vorrebbe sprofondare poi abbozza e, a metà tra la Hillary Clinton del Caso Lewinsky e una povera moglie comune con una famiglia da salvaguardare, si rimbocca le maniche e ricomincia a fare l’avvocato.
Naturalmente ritrova senza nemmeno andare su Facebook un ex compagno di università che la assume ( e con cui ha una storia ma poi lui muore lasciandole l’eterno dilemma “cosa sarebbe stato se”) in quello che è naturalmente uno dei più importanti studi legali della città. E naturalmente lei riprende a lavorare – nonostante negli ultimi dieci anni avesse solo sfornato torte e stirato camicie – e altrettanto naturalmente vince tutte le cause più importanti. Va bene sognare ma vogliamo parlarne con quelle comuni casalinghe che, per una ragione o per l’altra, decidono di rimettersi a lavorare dopo anni salvo scoprire ben presto che sono irrimediabilmente “fuori dal giro” ?
Alla fine Alicia decide di buttarsi nella carriera politica in proprio, attività che dalla comparsa di Hillary Clinton in poi sembra essere diventata l’alternativa professionale di molte di queste donne da fiction toste, determinate, eleganti che bevono vino rosso ma non mangiano mai: « Ciao cara, sai che ho appena aperto un negozio di tisane? E tu che fai?»«No niente, io sono in corsa per la Casa Bianca…».
In quarant’anni siamo passate dalla gonna a ruota con Fonzie al Bar di Alfred al tubino e decolleté nelle stanze dei bottoni . Olivia Pope (“Scandal”)e Claire Underwood (“House of Cards”) su tutte.
Oliva non vuole diventare presidente, per fortuna, ma aiuta gli altri a diventarlo con frasi motivazionali così perfette che meriterebbe segnarsele sull’agenda e sbirciarle quando abbiamo un calo di autostima. Cose tipo: «Io sono tante cose, ma stupida non è tra queste» oppure «Non sono mai a corto di opzioni» e anche «Non sono la ragazza che il protagonista conquista alla fine del film. Non sono una fantasia. Se mi vuoi, meritami». Roba forte per donne forti.
Claire non rinuncia alle sue ambizioni e quello con Francis (come lo chiama lei, mentre per tutto il resto del mondo è banalmente e americanamente Frank) è il classico matrimonio funzionale che come tanti matrimoni di nostra conoscenza è nato con le intenzioni più romantiche ed è finito col diventare un’arida società per azioni.
Fisico da paura curato a forza di corse al parco e vogatore in cantina , capelli corti e dal taglio impeccabile, lucidità nel porsi degli obiettivi e determinazione nel perseguirli, accessori minimal e naturalmente il tubino “pancia piatta” che da solo può essere considerato a livello di un master: una vera eroina contemporanea, se non fosse troppo amorale anche per la più stronza delle donne normali.
Ah, dimenticavo…naturalmente (al momento) di mestiere fa il Presidente degli Stati Uniti.