E anche quest’anno siamo tornate a casa.
Abbiamo chiuso le case al mare o in montagna, svuotato il frigorifero, salutato gli amici che rivedremo, se va bene, a Natale altrimenti il prossimo anno, tanto nessuno ormai crede più al retorico “fatti sentire anche in città, che magari combiniamo”, abbiamo abbandonato gli agriturismi, stipato le valigie, caricato sulle auto le ceste comprate sulla spiaggia (ma dove mai le metteremo, tutte queste ceste, nelle case di città? mah. Però sono così carine e magari riempite di cioccolatini tornano utili come regali per un invito a cena…)
Abbiamo preso traghetti, treni, aerei, abbiamo finalmente liberato il parcheggio non a pagamento miracolosamente trovato con una botta di culo a inizio vacanze e mai più mollato. Più avvezze ormai alla sedia a sdraio, al lettino o alle panche di tronchi ci siamo sedute un po’ stranite al posto di guida, dove siamo abituate a trascorrere un’infinità di tempo cittadino tanto che il sedile ha preso ormai la forma dei nostri cuscinetti di cellulite, abbiamo regolato la distanza dai pedali per adattarla alle ballerine “da guida”, controllato il livello della benzina e calcolato a quale autogrill ci saremmo dovute fermare per far coincidere con millimetrica precisione il rifornimento, la voglia di un altro caffè e la sosta pipì.
Ci siamo accertate che la nostra preziosa Laura, o Rita, o Maria fossero già disponibili in questi primi giorni di Settembre per far prendere aria alla casa, togliere dal balcone le foglie portate dal vento e dagli acquazzoni, eliminare un po’ di polvere e soprattutto aiutarci a smaltire velocemente la famigerata “borsa della roba da lavare”, in attesa che eventuali figli vacanzieri, conviventi o no, ci portino bermuda e camicie, magliette e parei, jeans e golfini da lavare e stirare.
Ancora una volta abbiamo dimenticato di aver inserito l’allarme e tutto il palazzo è stato informato del nostro arrivo, come se non fossero sufficienti i bagagli ammucchiati nell’androne e l’ascensore occupato per venti minuti, ma dopo aver scavalcato il trasportino con il gatto e le inutili ceste e zittita la sirena con l’apposita chiavetta abbiamo finalmente guadagnato casa nostra, quel posto da cui è tanto bello scappare verso il resto del mondo, le palme esotiche, i fiordi norvegesi, i trekking nepalesi o soltanto verso la spiaggia a un’ora di autostrada, ma che menomale che sta sempre lì ad aspettarci, rassicurante e in penombra, soltanto un filo di luce che filtra attraverso le tapparelle abbassate per lasciar fuori l’ultimo caldo della città d’estate.
Tanto ma tanto felici di poter finalmente tornare a dormire nel nostro letto, sul nostro materasso, dopo tutti quei giorni di pigri e vacanzieri risvegli con il mal di schiena.