“Facciamo che era Giovedì e andavamo a ballare come le nostre mamme”
Giorgio, anni 7 a Margherita, anni 8 – Estate 1995
Ebbene sì: è capitato a tutte il periodo del ballo, il “momento dance” in età adulta, dopo quello canonico della discoteca adolescenziale.
A me è successo nel 1995: una delle più classiche cure post-separazione.
Era capitato che il verduraio del mercato rionale, una delle nostre frequentazioni quasi quotidiane, aveva distribuito dei volantini che pubblicizzavano un locale di musica latino americana, di cui naturalmente era socio occulto e maggioritario, visto i prezzi a cui metteva i carciofi.
Poteva essere un’idea per passare le serate, un’occasione per muoversi, un’ alternativa alla palestra a cui eravamo tutte iscritte e dove non andavamo mai perché ogni giorno, a qualunque ora, era un susseguirsi di impegni di quei totalizzanti esserini che ci toccava prendere e accompagnare ovunque, prima e dopo il lavoro e a volte anche durante.
Per i canoni del ben pensare sociale, era un’ iniziativa un po’ troppo fuori dalle righe, un’attività potenzialmente foriera di implicazioni disdicevoli, di quelle che sembrano fatte apposta per essere disapprovate pubblicamente ad ogni possibile occasione.
Perché no? In fondo erano gli anni del “io ballo da sola” e sapevamo badare a noi stesse: era sufficiente organizzarsi. Detto, fatto. Con l’entusiasmo delle neofite siamo partite in poche, poi si sono aggiunti altri. Anche chi, pur disapprovando, si sentiva in dovere di venire a controllare.
Qualche marito, di quelli che c’erano, si era fatto coinvolgere ma poi restavano tutta la sera sul divanetto a parlare di Borsa e calcio mentre noi tentavamo Salsa e Merengue con gli altri abitué del giovedì.
Eravamo diventate presenze fisse e talmente entusiaste che il verduraio e soci ci avevano addirittura invitate alla grande apertura della sede estiva, al fresco della collina, con tanto di tavolo riservato.
Prima o poi il ballo consolatorio, che sia latinoamericano, tango, disco o swing, capita a un sacco di gente e senza che debba essere per forza accompagnato da particolari aspettative. Semplicemente perché “La vita continua. Forse non ci sarà matrimonio… forse non ci sarà sesso… ma perdinci, ci sarà almeno il ballo!” (Rupert Everett, Il matrimonio del mio migliore amico)
Si balla quando si riesce, quando capita, quando si è in vena.
Perciò quando ho visto Gloria Bell ho pensato che ecco, ci ero passata anche io. E grazie al ballo è stato un periodo meno brutto di quello che poteva essere.
Ho cantato anch’io No more lonely nights a squarciagola in macchina, anche se Julianne Moore è più intonata. Non ho mai incontrato John Turturro (peccato: pare balli benissimo la Salsa) ma tipi come il suo personaggio sì. Sono quelli che, alla fine, ti fanno preferire la compagnia di un gatto (spoiler).
Non è durato molto, perché non sono di quelle che “hanno il ritmo nel sangue”, ma è stato comunque un bel periodo, divertente e liberatorio.
E ho ancora nelle orecchie le vocette di quei due che, giocando con Barbie e Big Jim, volevano imitare noi adulti (o aspiranti tali) al ballo del giovedì: forse si allenavano a quel bonario compatimento con cui tutti i figli ci guardano adesso quando cominciamo a muoverci a tempo di I will survive.
Sorridete pure, ma sappiate che tante di noi sono sopravvissute proprio grazie al ballo .
Al giro di boa dei cinquanta e sulla scorta di una somma invidia per una lontana conoscente flessuosa come una pantera a suon di danza jazz, mi addentrai nei meandri di una scuola di ballo titolata e bon ton . Stufa della ripetitività della palestra e della freddezza dei pesi da sollevare, ma completamente neofita, priva di una anche lontana conoscenza di plie’,arabesque e rond De Jambe, mi impegnai a piroettare pian piano sempre di più. Le amiche aerobiche mi snobbavano, quelle comunione e liberazione storcevano il nasino e quelle beghine fra un po’ mi aspergevano con l’acqua santa .Ma vuoi mettere l’ebrezza dell’unisono con il ritmo, del sudore trasversale con le ragazze giovani quasi da essere figlie e il palco, le luci e gli applausi degli spettacoli…senza dimenticare invidiabile elasticità,discreta forma fisica e tanto buon umore che non guasta….una passione tardiva ma portatrice di giovanile entusiasmo
Che bel racconto! fare cose che ci danno felicità e non fanno male a nessuno è il miglior modo per impiegare il nostro tempo fra un’incombenza quotidiana e l’altra, senza curarci di chi si sente autorizzato (in nome di cosa, poi?) a criticare senza conoscere e a storcere il naso per invidia