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Se con i figli ormai cresciuti pensavamo di potercela cavare con il minimo sindacale di impegno e cominciare a tirare i remi in barca abbiamo fatto male i nostri calcoli.

Felici di averli finalmente mandati a conquistare il mondo abbiamo pianto, di nascosto da loro, tutte le lacrime di mamme abbandonate nel nido vuoto. Ci siamo buttate sulle foto di quando erano piccoli e sorridendo compiaciute abbiamo guardato ancora le loro guanciotte paffute sperando che la loro vita senza di noi potesse essere piena soltanto di cose belle e di soddisfazioni. Li abbiamo mandati verso il futuro certe che avrebbero saputo fare tesoro di tutti i principi educativi che abbiamo cercato di trasmettere loro con le parole, le urla, i brontolii e talvolta perfino con le minacce. In breve, ci siamo sentite tronfie e sicure di aver dato loro gli strumenti per cavarsela.

Sbagliato.

Non avevamo fatto i conti con la tecnologia, la rete, la new economy, le app.

Così succede che delle povere madri che stavano già pregustando di impiegare il loro nuovo tempo libero in passatempi obsoleti come la lettura, la cucina o il corso di tango devono all’ improvviso imparare a confrontarsi con la tecnologia, che sarà anche fighissima ma alle volte francamente un po’ impegnativa.

Prendiamo Whatsapp: i messaggini brevi e quotidiani hanno sostituito le telefonate, anche quelle quotidiane ma insostenibilmente lunghe che avevamo con le nostre madri, perciò ci siamo adeguate con piacere ricordando quando tenevamo la cornetta o il Nokia pieghevole lontano dall’orecchio e rispondevamo sempre di si a qualsiasi cosa nostra madre ci stesse raccontando. Adesso bastano poche parole: stai bene, sto bene, che tempo fa, saluta la nonna, buona giornata, poi tre emoticon con i bacini e via.

Le foto con lo smartphone hanno preso il posto del tradizionale giro in centro per compere con la formula “figli scelgono-mamme pagano” con sosta al bar per un caffè insieme. Adesso i negozi sono pieni di madri che scattano foto a abiti, maglioncini e scarpe, si informano se c’è la taglia piccola e poi spediscono la foto. Se il pargolo approva, la mamma acquista e paga (questa è l’unica parte del meccanismo che non ha subito cambiamenti). Invece di essere un momento di socialità genitore-figlio è diventata una versione autogestita dell’acquisto su internet, con tanto di consegna in giornata.

A proposito: vogliamo parlare delle consegne di Amazon? Le madri dotate di portineria sono le più coccolate, dato che mediamente dove vivono gli under 35 di portinai non ce n’è manco l’ombra e farsi lasciare il pacco al negozio sotto casa può essere rischioso. Inoltre la mamma avvisa dell’avvenuta consegna mediante invio di foto del pacco ed è disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte per un ritiro al volo.

Se poi un tempo l’affetto materno si misurava in quantità di contenitori Tupperware pieni di cibarie e teglie di lasagne lasciati in frigorifero adesso abbiamo imparato a gestire le app di consegna del cibo a domicilio perciò può capitare di dover ordinare da Torino con Uber Eats una Poke Bowl che verrà consegnata a Milano. Naturalmente pagata con la nostra carta di credito.

Ovviamente prima abbiamo dovuto scaricare l’apposita app, imparare a usarla e soprattutto capire cosa è una Poke Bowl. E tutto mentre pensavamo di goderci il pranzo insieme a un’amica. Ma per i figli questo e altro, e comunque l’amica, che è nella stessa situazione, comprende.

Loro dicono che lo fanno per noi, per aiutarci a restare al passo con i tempi, perché dobbiamo imparare a essere smart e social.

Solo che poi ci prendono per il culo se stiamo su FaceBook a conversare con gli amici d’infanzia.

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