LE IMMANCABILI

Non sarò mai abbastanza grata a una delle immancabili su cui posso contare da sempre che si presentò, unica spettatrice, alla presentazione di un mio libro organizzata a Venaria (l’hinterland, ma con il castello) in un piovoso lunedì d’autunno.

Le immancabili salvano qualsiasi evento – che sia in centro a Milano o in una periferia sabauda battuta dal vento – e lo sanno molto bene protagonisti e organizzatori che dovrebbero accendere un cero grosso così a queste signore eleganti e allegre (spesso grazie anche al prosecco della buvette) i cui nomi e indirizzi sono presenti in ogni mailing list che si rispetti.

Ho scritto “signore” non a caso: a meno che non si tratti di eventi dedicati a motori o cibo gli uomini si contano sulle dita della mano. New entry o facce note che siano, gli uomini fanno tappezzeria intorno al buffet ma non aggiungono verve ed è sufficiente che se ne mettano un paio in ogni gruppo di conversazione giusto per parità di genere. Tanto anche il più cretino degli esperti di marketing sa che il successo di un evento lo sanciscono le donne, senza limite di confini geografici: a Torino come a Milano, a Roma, a Firenze, a Genova la presenza delle immancabili raddoppia il risultato, soprattutto se poi fanno le stories su Instagram.

Immancabili si nasce ma anche si diventa. Per carattere, amicizia, predisposizione alla socialità, rappresentanza del target giusto, importanza sulla scena sociale o faccia tosta nell’importunare organizzatori che per sfinimento aggiungono in lista. Alcune sono sulla scena da talmente tanti anni che si fa fatica a ricordare quando hanno iniziato la carriera, altre appena si affacciano ne imparano meccanismi e regole in pochissimo tempo.

Intanto sfatiamo il mito che bisogna avere tempo da perdere: non siamo pensionate nullafacenti e c’è chi non ha mai mancato un giro anche in costanza di carriere lavorative e con figli piccoli. Anzi, la socialità è una mano santa per staccare dalla quotidianità ripetitiva, diventando a sua volta una socialità ripetitiva che fa apprezzare la quotidianità. Ragionamento contorto, ma ci sta.

Sono ecumeniche: le trovi sempre dappertutto, guardare Instagram per credere. Architette alla fashion week, amanti del giardinaggio alla presentazione di una crema miracolosa, modaiole ai vernissage e ovviamente tutte quante agli eventi must della stagione.  Intanto perché gli organizzatori sono sempre gli stessi e le mailing list pure e se anche solo una volta si è data conferma e si sono dichiarate le generalità alle solerti hostess all’ ingresso si finisce direttamente nella mailing list successiva, che sia una degustazione di cioccolato o l’inaugurazione di un negozio di arredamento: una volta che si è innescato il meccanismo, è fatta. Ovviamente a Torino l’ambiente è più ristretto, ma a stare sugli account giusti chiunque si accorge che anche a Milano la compagnia è sempre un po’ la stessa, solo con l’aria più dégagé.

Le immancabili sono la rappresentazione plastica di una socialità cittadina dinamica contrapposta alla socialità statica, che è quella delle giocatrici di burraco, per intenderci. Alcune vengono avvistate indifferentemente sia nelle occasioni glamour sia ai tornei dimostrando al tempo stesso resistenza fisica e grande capacità di concentrazione, senza nemmeno avere la necessità di cambiarsi d’abito tra un’attività e l’altra come se si fosse Arturo Brachetti.

Il segreto sta nel cappottino: occorre munirsi di una quantità infinita di questi capi d’abbigliamento per sopportare il tour de force di alcuni eventi mondani prolungati, tipo Artissima o la Design Week, quando non si dispone di tutti gli outfit che il presenzialismo richiederebbe o tocca, per l’accavallarsi di appuntamenti, passare dall’evento più schicchettino a quello più easy senza avere il tempo di transitare da casa.

Che poi tanto si sta in piedi con un bicchiere in una mano e la borsetta nell’altra, in balia dell’escursione termica fra un “dentro” affollato e caldissimo e un “fuori” spesso un po’ freschino cercando di contrastare l’insorgere di malanni con il consumo di alcol. Tanto le stagioni degli eventi sono autunno e primavera e quindi a parte il rischio pioggia le temperature sono miti.

E mentre si degusta la tartina, il fingerfood o come si chiama adesso e la conversazione a bocca piena non è consigliata, ci si può intrattenere con l’outfit watching: l’abito non farà il monaco ma di sicuro il cappottino fa l’immancabile.

Ispirazionali, minimal, barocchi, over, fitted, vintage, in velluto, in camoscio, in denim (molto visti quest’anno) ricamati, paillettati (che fa un po’ overdressed prima delle 19,00), nuovissimi o dejà vu: ce n’è per tutti i gusti e stanno bene con le sneakers e con i tacchi, risolvendo anche il problema del “che scarpe mi metto”.

Recentemente le giovani e le modaiole li hanno sostituiti con le giacche over che però sono tutte un po’ uguali fra loro, al massimo ci aggiungono una cintura o le portano buttate sulle spalle, come in quei film melensi in cui lei cammina a Central Park in abito da sera scollato e lui le presta la sua giacca da smoking.

Cosa c’è sotto non importa sotto: jeans e maglietta, total black o addirittura la tuta, tanto il cappottino mica lo togli. Anche perché spesso non c’è guardaroba.

Comunque io le immancabili le amo, soprattutto da quella sera a Venaria quando mi sarei messa a piangere con l’autostima a pezzi. Pioveva a dirotto e invece del cappottino era necessaria una cerata, ma siamo finite io, l’editore, la giornalista che mi avrebbe dovuto presentare e la “mia” immancabile a consolarci con un bicchiere di vermuth al Bar Elena.

Peccato per gli organizzatori che non si sono visti: forse erano impegnati ad aggiornare la loro mailing list.

Grazie a Chiara Contini, autrice della foto e Lilly abbigliamento per linvito

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