Giorgio Gaber cantava “la libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero…” .
Vero: la libertà, quella delle piccole cose, non quella grande, che si scrive con la L maiuscola, può essere anche la targhetta di un citofono.
Lo è di sicuro per alcune signore che a un certo punto della loro vita si mettono alla ricerca di una nuova casa. Succede che devono lasciare quella che era stata concessa dai patti di divorzio in ragione della tenera età dei figli: ormai i ragazzi sono grandi e sono andati per le loro strade, perciò tutti quei metri quadri non servono più, sono magari stati testimoni di scene da un matrimonio infelice e comunque il legittimo proprietario ne reclama la restituzione per andarci a vivere con la nuova badante ucraina di venticinque anni (ma questo è un altro discorso).
Perciò quelle che sono state a suo tempo delle single di ritorno e che negli ultimi anni hanno assaporato e guadagnato con fatica una nuova libertà e non hanno avuto voglia o occasione di unire nuovamente la loro vita a un uomo – oppure le hanno avute e poi hanno pensato “ma anche no” – si mettono a cercare una casa con la consapevolezza che potrebbe essere l’ultimo trasloco al loro orizzonte (il condizionale è d’obbligo, non si può mai sapere).
Le new ladies singles cercano case con tanti armadi a muro, uno sgabuzzino per nascondere la biancheria da lavare o la borsa puzzolente della palestra, un angolo adatto per la scarpiera, tanta luce, negozi e mercati vicini, una bella cucina e un bel panorama sui tetti , sulle montagne o su un giardino. In definitiva vogliono uno spazio e soprattutto un citofono tutto per sé.
Si, proprio un citofono. Ai tempi in cui Virginia Woolf teorizzava la necessità di “una stanza tutta per sé ” la porta l’aprivano i domestici, oggi le nuove esigenze abitative – e l’incidenza della voce “custode” sulle spese condominiali – fanno emergere la necessità dei citofoni e di conseguenza la fondamentale questione del nome sulla targhetta.
Le signore che per anni hanno visto nella migliore delle ipotesi il loro cognome venire dopo quello del marito, vogliono un citofono su cui mettere finalmente il loro cognome da nubili. A volte qualche figlio resta in casa e quindi i cognomi devono essere per forza ancora due, ma è l’ordine di apparizione che dà il senso di un piccolo ma significativo riappropriarsi della propria vita.
Un consiglio alle mamme di figlie femmine: non pretendete che se ne vadano di casa solo al braccio di un marito, lasciate che vivano l’ebbrezza del loro cognome sul citofono quando sono ancora giovani, quando tutta la loro storia è ancora da scrivere. Sono giovani donne che godono della massima libertà e sanno badare a se stesse non sarà il fatto di vivere in una casa tutta loro che scatenerà i freni inibitori. Non negate loro l’orgoglio di una targhetta dove campeggia il loro cognome: se la vita e l’amore saranno generosi ne condivideranno una per tanti e tanti anni, se invece qualcosa andrà storto perché farle aspettare la soglia della vecchiaia?
Certo, la conquista della libertà passa attraverso battaglie e argomenti ben più seri, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.
Acquerello di Severino Salvemini