CHILOMETRI E CIAMBELLE

UNA STORIA CHE RACCONTA DI INDIANA JONES, DELL’AUTOSTRADA PER IL MARE E DI PICCOLE COSE CHE AIUTANO A SOPPORTARE QUELLO CHE NON AMIAMO FARE

“Non sono gli anni amore, sono i chilometri”. Penso a questa frase di Indiana Jones (da I predatori dell’Arca Perduta) tutte le volte che mi metto in auto. Non so più quanti chilometri ho percorso, per lavoro, per amore, per fare la mamma-taxi, per le vacanze. Ma oggi, saranno gli anni oppure i chilometri, non mi va più tanto di guidare.

A diciott’anni per la maturità mi hanno regalato una A112, di cui ho posseduto tre esemplari tutti rigorosamente di seconda mano: una me l’hanno rubata sotto casa, con la seconda ho centrato un semaforo tra corso Einaudi e corso Duca e la terza è arrivata fino a mia sorella che si è occupata personalmente di farsela distruggere da un pazzo che non ha rispettato un incrocio.

Poi c’è stata la Panda 4×4 che ogni venerdì sera d’inverno mi permetteva di salire in montagna con qualunque condizione atmosferica perché Marghe fosse puntuale all’allenamento dello sci club del sabato mattina.

L’auto del cuore è stata però la mitica Pelastra (in realtà era una Opel Astra ma Marghe la pronunciava così, tuttattaccato) che ci ha accompagnate per tanto tempo: “io e te, tu ed io” e gli 883 a farci da colonna sonora.

“Sei un mito” squarciagolata con la mia bimba mentre percorrevamo una quasi deserta e assolata Carlo Felice, la strada che attraversa la Sardegna, è tra i miei ricordi più belli., e la Pelastra ne fa parte. 

Il momento “famigliona allargata” è stato celebrato con una Zafira: su sette posti disponibili ne occupavamo perennemente sei con tanto di bici sistemate sul tetto ma quando è terminato l’esperimento esistenziale di cui l’auto era solo il risultato senza colpa, per reazione sono passata a una Y10 in cui stavano comodi solo il guidatore (cioè io) e un solo passeggero alla volta. Ricordo bene la targa: era la data in cui l’Italia ha vinto per l’ultima volta i Mondiali di Calcio: 976

Vennero poi dodici anni di Classe A adeguatamente strapazzata sugli sterrati di montagna confidando nella robustezza tedesca per finire oggi con una 500X comprata perché unica auto che avesse il posto di guida abbastanza alto senza essere un suv. Chi dice che le donne comprino le auto per i motivi più scemi ha ragione.

Oggi il mio utilizzo dell’auto si riduce a: 1 giorno alla settimana per lavoro, 1 volta l’anno per portare i piumoni in tintoria e poche altre volte tra cui le vacanze e soprattutto per i weekend al mare a Finale Ligure percorrendo la A6 Torino-Savona, l’incubo autostradale di ogni piemontese che vada al mare in Liguria.

Una strada sempre così uguale nel suo eterno susseguirsi di viadotti e gallerie i cui nomi mi divertivano quando scendevo al mare seduta dietro sull’auto di mio padre e che oggi potrei percorrere a occhi chiusi, nel senso che a volte rasento l’abbiocco per noia.

Per resistere mi tocca fare delle soste tecniche: all’andata mi fermo sempre a bere il caffè all’area di servizio di Priero dove te lo servono così bollente che ti svegli per forza ma al ritorno, da quando posso concedermi il lusso di rientrare il lunedì mattina, mi regalo un piccolo extra di zuccheri.

Da giugno a settembre prima di recuperare la macchina parcheggiata “a ca’ di bagasce” ( espressione locale che indica in modo poco fine ma efficace un luogo indeterminato e comunque sempre immancabilmente lontanissimo da dove abito) scendo al Bar Ferro proprio sotto casa, dove bevo il primo caffè e Elena, Serena e le ragazze mi mettono in un sacchetto una mini ciambella – che come tutto da loro è fatta dai migliori pasticceri che conosco: quelli che saluto ogni giorno attraverso la finestra proprio di fianco al portoncino di casa – da mangiare strada facendo.

Per la precisone, se siete in transito sulla A6 un lunedì mattina d’estate mi potete trovare verso le undici ferma nel parcheggio assolato della stazione di servizio Rio Coloré mentre mi godo questo piccolo piacere e mi lecco le dita piene di zucchero, prima di scendere a prendere il secondo caffè della giornata.

Ognuno ha i suoi riti, le sue manie e io sarò anche un po’ bizzarra a mangiarla in un parcheggio, ma non riesco più a fare a meno di questa delizia fatta dai migliori pasticceri che conosco, che mi è ormai diventata indispensabile per sopportare i chilometri che mi annoiano, iniziare meglio la settimana ma soprattutto evitare le brioches dell’autogrill, troppo grandi e unte.

La morale di tutta questa storia autostradale è che anche nelle situazioni meno piacevoli, quelle che viviamo con una certa dose di fastidio basta trovare anche un solo momento di bontà perché tutto diventi più sopportabile, e alle volte persino gradevole anche sull’asfalto tra Marene e Carmagnola.

Sarebbe bello avere sempre lungo il nostro cammino una piccola cosa buona da tirare fuori dal sacchetto quando siamo un po’ stanche di tutti gli anni e di tutti i chilometri che abbiamo percorso.

Io l’ho trovata nella mini ciambella di Ferro, il povero Indiana Jones che a Finale non ci è mai venuto dovrà ancora e per sempre accontentarsi solo dell’Arca. Peccato per lui.

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9 Comments

  1. says: Irene

    Brava Francesca ! Ho letto il tuo racconto con piacere .
    Spero tu stia bene . Mi sembri in forma dalla foto – espressione, silhouette e che bel vestito !
    Un abbraccio Irene

  2. says: Ornella Succo

    Odio gli autogrill e odio pure guidare in autostrade, tangenziali, ecc. Ho imparato a guidare, cinquantadue anni fa, sulla provinciale per il Col del Lys con una vecchia 500L dove bisognava scalare facendo la doppietta e i rettilinei mi hanno sempre annoiata. Ma per i figli, prima, e per i nipoti adesso si fa questo e altro. Per cui grazie per il racconto e per la dritta sull’area di servizio di Priero: a me il caffè bollente piace moltissimo!

    1. says: admin

      Siamo in tante ad annoiarci sui rettilinei! questo blog ha anche una sua utilità: amanti del caffè bollente ci si vede a Priero ….

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