Non c’è niente di più struggente che finire le vacanze in una giornata di sole, con il vento di tramontana che fa il cielo blu-blu, alza le ochette sul mare e rende facile e scontata ogni poesia del momento presente.
L’aria frizzante dà abbastanza energia per essere po’ più contenta di tornare in città, mentre salgo tra muri a secco e castagni. Baglioni fa da colonna sonora con Strada facendo, il giornale radio snocciola crisi Ucraina, attentati sulle alture del Golan, il “programma dei 1.000 giorni” di Renzi, Papa Francesco e la partita della Pace, la prima giornata di campionato, Cerci all’Atletico Madrid e Sara Errani ai quarti degli US open. Sono pronta a ricominciare – la radio adesso propone L’amore non esiste ma non mi faccio deprimere – e inizio a fare la lista dei BP (Buoni Propositi) mentre sto attenta a non superare il limite di velocità perchè – a voler fare la brillante – di punti sulla patente me ne hanno già tolti abbastanza.
Colta da improvvisa ispirazione mi fermo all’autogrill per fotografare il cartello con la freccia per Torino, indizio ineludibile di ritorno alla vita reale, agli sforzi per rendere possibili i progetti, al quotidiano sbattersi alla ricerca di soluzioni per problemi veri, apparenti o inventati, alla lotta contro quella sottile ansia notturna che sale da un punto impreciso a metà dello sterno fino a togliere il fiato, per poi svanire la mattina, quando la luce del giorno aiuta il pensiero positivo a guidare i piedi giù dal letto.
Persa in queste riflessioni post vacanziere non mi accorgo nemmeno di aver già scollinato in Piemonte e all’improvviso – tra Niella Tanaro e Mondovì – mi sorprende il triangolo scuro del Monviso, che in quel tratto appare proprio di fronte, come se l’autostrada andasse a finire proprio lì.
Riporto i pensieri sulla terra e lascio il mare alle spalle: ritornerò prestissimo dal vecchio marinaio e da gatta Nala che sono rimasti di guardia, ma adesso è il momento di tornare a casa. La strada gira e il Monviso alla mia sinistra è una granitica presenza che sembra di buon auspicio. E mentre la sbarra del Telepass mi lascia passare, mormoro un “evvai” che è meglio di mille programmi.