Tra le tante categorie in cui si dividono gli esseri umani, soprattutto donne, esistono le preparatrici di valigie. Che a loro volta si dividono tra quelle che provvedono con largo anticipo contrapposte alle stipatrici di trolley dell’ultimo minuto.
Le riempitrici metodiche spesso fanno anche una lista, mentre le raccattatrici impulsive preferiscono maledirsi all’arrivo per aver dimenticato metà delle cose e dare la colpa al fatto di non aver preparato una lista.
Alcuni siti aiutano nell’impresa, fornendo liste preconfezionate: la lista “base”, cioè quella delle cose assolutamente da portare comprende una cinquantina di voci. Praticamente abbiamo la valigia piena senza nemmeno aver iniziato a metterci i vestiti.
A prescindere dalla tempistica di preparazione bisogna considerare se si appartiene alla vecchia scuola delle “piegatrici” oppure se si è “arrotolatrici”, come prevedono le nuove tendenze, ovviamente giapponesi e inventate da quei giapponesi che girano l’Italia con una valigia sola e non con un set di Prada da hotel a sette stelle.
Entrambi i gruppi annoverano tapine che, non rientrando nella specie di portatrici sane di bauli di Louis Vuitton, devono arrabattarsi per far stare un mucchio di roba nel più piccolo involucro possibile, pena la lite con il compagno oppure un salasso a cura delle compagnie low cost.
Subito dopo i servizi del TG che consigliano di bere tanta acqua, mangiare frutta e non uscire nelle ore più calde, i servizi delle riviste che consigliano di “portare solo l’indispensabile” rappresentano il massimo esempio di ovvietà estiva. Bisognerebbe cercare di capire esattamente cosa viene considerato indispensabile per una donna, e soprattutto quanto posto occupa questo benedetto “indispensabile”. Un argomento buono per un master alla Normale di Pisa, non per un servizio su Vanity Fair!
Un pareo e una borsa di paglia sono il minimo indispensabile per la spiaggia, ma è evidente che in valigia occupano spazi molto diversi. La regola dice di sfruttare l’effetto matrioska e mettere parei,costumi, biancheria, prodotti di bellezza e quant’altro dentro la borsa di paglia che a sua volta andrà a occupare tutto il trolley. Ma poi manca spazio per le scarpe. Insomma, non se ne esce.
Le scarpe, appunto. Tutti sanno che ogni donna possiede un “enne” numero di scarpe, ma niente. Questi dispensatori di consigli pretenderebbero che per una vacanza di un paio di settimane ci portassimo soltanto TRE paia di scarpe. E per quale motivo avremmo comprato tutti quei sandali fino all’altro ieri nei saldi se poi dobbiamo sceglierne solo UN paio (perché le altre scarpe previste dai manuali sono tassativamente le sneakers e le infradito per camminare sugli scogli o, in alternativa, gli scarponcini per le passeggiate in montagna)?
E poi i prodotti di bellezza, i libri, i capi per le “emergenze” tipo la giacca a vento leggera in caso di meteo instabile…tutte cose che in un modo o nell’altro dovremo cercare di stipare nella valigia delle vacanze, sempre troppo piccola.
Ricordo ancora la cerimonia che mia madre – preparatrice di valige sul lungo periodo – inscenava quando eravamo piccole. Le valigie, di varie dimensioni e di cuoio pesante (erano gli anni ’60, non c’erano valigie in fibra di carbonio né ruote che ne agevolassero il trasporto, però c’erano uomini che le sollevavano), venivano disposte su ogni superficie disponibile del salotto. I vestiti rigorosamente piegati e separati da fogli di carta velina per evitare che arrivassero spiegazzati anche se avevamo un piccolo ferro da stiro “da viaggio” che oggi potrebbe essere considerato arma impropria e sequestrato dalla security in aeroporto.
Le scarpe venivano messe tutte insieme in una sacca morbida, ogni paio protetto nei sacchetti di panno. Qui trovava posto anche la busta di plastica con i medicinali, dall’aspirina al rimedio contro il morso di vipera. Nel beauty case c’erano anche il phon e la bigiotteria ma non l’orologino d’oro, portato nella borsa a mano insieme ai documenti.
Dopo una settimana di questo accampamento arrivava il giorno della partenza e noi bambine sapevamo che stava per arrivare la scena finale: quel brevissimo momento di silenzio nella calura estiva, seguito dall’ eterna, immancabile domanda di mio padre : “ma ci serve veramente tutta questa roba?”
Mia mamma non ha mai ritenuto necessario dargli una risposta. E io ho imparato che il concetto di “indispensabile” è assolutamente soggettivo.