Noi vittime delle “giornate a incastro” siamo riconoscibili da lontano: siamo in coda alle poste con le scarpe da ginnastica che spuntano da sotto i cappotti o stiamo cercando di stipare nel bagagliaio dell’auto una montagna di borse e sacchetti con il cambio stagione da portare in tintoria, il computer da far riparare e la confezione di pannoloni per anziani da consegnare alla badante di mammà.
L’abbigliamento è pratico: in genere jeans e maglione su cui abbiamo buttato il primo giaccone che ci è capitato per le mani, con uno stile casual chic che si ispira direttamente alle attrici fotografate (quasi) di sorpresa mentre scendono un attimo al bistrot sotto casa. Come alternativa, per quelle che ancora credono – tra una commissione e l’altra – di incontrare Clooney invece dell’addetto ai parcheggi a pagamento, va benissimo anche il trench di Michelle Pfeiffer nel film Un giorno…per caso.
Ai piedi tacchi bassi o le sneakers, che per una volta riacquistano la loro funzione di scarpe comode per correre, salire e scendere.
Il make up è quello veloce, imparato in anni e anni di mattine in cui siamo state in ritardo per accompagnare i figli a scuola e volare in ufficio. I capelli sono freschi di doccia ma non perfettamente asciutti, perché abbiamo sacrificato l’ultima passata di phon per guadagnare minuti preziosi.
Incastrare tutto quello che c’è da fare nelle poche ore che abbiamo a disposizione è un esercizio che pratichiamo sempre più sovente. E siamo diventate talmente brave in questa specialità semi-olimpica da riuscire anche a riservarci – con somma soddisfazione – una striminzita oretta di palestra o un passaggio dal parrucchiere speedygonzales.
Partiamo la mattina presto con l’auto che assomiglia a una survival car per viaggi transcontinentali e ci portiamo dietro tutto per non dover correre il rischio di ripassare dal via.
Meglio avere con se la scopa elettrica che non funziona, nel caso si passasse davanti all’ormai unico negozietto in città che ripara elettrodomestici, oppure la ricetta delle pastiglie per la pressione, di cui fare scorta se tra il luogo in cui abbiamo posteggiato e il bancomat ci imbattessimo in una farmacia.
Il parcheggio precario, in doppia fila, davanti al passo carraio o di fianco ai cassonetti è la nostra regola, il suono delle quattro frecce è la nostra colonna sonora. E per tutti quegli uomini che ci trattano da cretine perché le teniamo accese, sappiate che non ce le siamo dimenticate: se dobbiamo riaccenderle dopo cinque minuti tanto vale lasciarle così.
A proposito di uomini che imprecano contro le signore che corrono a spostare la macchina che impiccia, vorremmo segnalare che, nel 99 per cento dei casi le commissioni che stiamo facendo riguardano anche loro, che mai si sognerebbero di dedicar tempo a simili quisquilie.
E se proprio non ci credono, la prossima volta le camicie in tintoria possono portarsele da soli. Lasciando la macchina in doppia fila e con le frecce lampeggianti.