Siamo diventate esperte di capi che vengono definiti “indispensabili” e di cui siamo in grado di snocciolare a memoria il rosario: camicia bianca, tubino nero, jeans, filo di perle, pantalone nero e trench. E poco importa se il trench, con lo sparire delle mezze stagioni, lo mettiamo al massimo dieci volte l’anno: ci fa sentire uguali alle attrici francesi, da Isabelle Huppert a Fanny Ardant, l’unica categoria di portatrici di trench che riesca a non assomigliare all’ispettore Gadget.
Per quanto riguarda il tubino nero, ci siamo applicate con tanta costanza e dedizione al punto che i nostri armadi ne contengono almeno cinque o sei versioni, da utilizzare a seconda del clima e dell’occasione: c’è il tubino nero da lavoro, quello da sera scollato che però non osiamo mettere da quando le tette sono aumentate per la menopausa, quello da sera bon ton per quando non si sa bene come vestirsi e allora meglio restare abbottonate (anche se poi ci pentiamo di averlo messo perché sembriamo la Nonna Abelarda della serata), quello stretch che indossiamo soltanto con l’apposita guaina schiacciapancia, quello in jersey scivoloso con il drappeggio strategico in zona addominale, quello a trapezio e quello taglia 46 per quando ci vediamo gonfie, non ci va bene niente, ci sentiamo depresse ma dopo aver indossato una taglia 46 ci deprimiamo ancora di più.
I pantaloni a una certa età sono un terreno minato: il passo falso con conseguente disastro è dietro l’angolo. La quantità di acquisti sbagliati in questo settore è enorme e se ne sta lì, nel guardaroba, a ricordarci che non ci si deve mai fidare dei consigli delle commesse e che l’unico giudizio valido per l’acquisto di un paio di pantaloni è quello crudele e impietoso di una figlia, peccato che chiedere a una figlia di accompagnarci ad acquistare qualcosa per noi sia impresa quasi impossibile, per lo meno a titolo gratuito, ed è per questo che accumuliamo pantaloni che ci stanno da schifo.
Di jeans ne abbiamo visti transitare di ogni sfumatura di blu, di ogni intensità di lavaggio, di ogni larghezza di gamba, di ogni altezza di vita e di tutti i tipi di fondo. E li abbiamo conservati tutti, come delle madeleines proustiane in tela delavé lasciate lì a ricordarci una vita intera. Parliamoci chiaro, anche la più morigerata delle signore ricorda ancora con nostalgia e tenerezza (gli stati d’animo più ricorrenti quando ci guardiamo indietro) da chi e quando è stato sbottonato ogni singolo paio di jeans conservato nei piani alti dell’armadio e chi racconta che non li butta perché tornano sempre di moda sta barando: quando mai riusciremo a entrare di nuovo nei Seafarer a zampa di elefante del 1979? Ma andiamo, quando è ritornata la zampa ce li siamo ricomprati della taglia giusta! La verità è che li conserviamo per ricordare a noi stesse che abbiamo portato la 38.
Le perle, vere, coltivate o fintissime in forma di collier o orecchini monoperla, ce le ha regalate la nonna per il diciottesimo compleanno e allora avevamo pensato, senza dirglielo per non darle un dispiacere, che fosse una cosa “da vecchie”. Adesso che siamo vecchie e abbiamo ereditato anche il filo di perle della nonna buonanima, continuiamo a non metterle perché ci fanno sentire “più vecchie”, quindi restano lì nel cassetto per il giorno in cui saremo abbastanza vecchie da non preoccuparci di sembrarlo.
La camicia bianca l’abbiamo comprata perché Uma Thurman la indossa che sta una favola, ma dato che a una certa età i colletti maschili non donano, preferiamo cardigan morbidi che scivolano oltre il famigerato punto vita oppure maglie dal girocollo ampio che consentono l’uso dell’immancabile sciarpa pluriarrotolata, accessorio imprescindibile in tutte le stagioni e in tutte le versioni.
Il maglione dolcevita nero, capo esistenzialista e passepartout di quando gli inverni erano degni di questo nome, lo abbiamo abbandonato controvoglia al comparire dei primi attacchi di caldane incontrollabili e ci siamo orientate verso lo stile cipolla con dei sottogiacca molto frivoli che non sfigurano se sfoggiati con le finestre aperte anche con temperature esterne sottozero.
Le calze, accessorio che da “Sex and the City” in poi è diventato inutile per le fashion victim abituate a spostarsi in taxi e a vivere in ambienti surriscaldati, sono irrinunciabili, soprattutto con le gonne, per le signore costrette a spostamenti frequenti magari sui mezzi pubblici e che hanno ginocchia meno toniche di quelle di Carrie Bradshaw.
E tutto sommato le “cinquanta denari” hanno lo stesso effetto dei ponteggi messi davanti ai monumenti storici: sostengono ciò che crolla e nascondono ciò che è rovinato.