Cadeva l’anno 1979. Il conto è presto fatto: ne sono passati quaranta, da allora.
Sono refrattaria alle rimpatriate, alle celebrazioni, al voler rimettere insieme le cose e le persone che il tempo (e il diverso carattere, stile di vita, ambizioni e contingenze) hanno separato. In genere si rivelano sempre, come prevedibile, dei fiaschi imbarazzanti.
Ma sono in vena di amarcord e di pensieri un po’melensi e allora mi viene da tirare fuori dal cassetto l’esame di maturità del 1979.
Si incominciava a luglio, allora.
Il 21 giugno infatti ero sul prato dello Stadio Comunale ad ascoltare Dalla & De Gregori, cercando di non pensare troppo all’ esame. Se non ricordo male c’era anche Raffaella, se non ricordo male avevamo passato la giornata a esercitarci sulle versioni di greco. Invece il concerto lo ricordo perfettamente anche perché è uno dei quattro (4!) concerti negli stadi a cui io abbia assistito nella mia intera vita (ma questa è un’altra storia, ve la racconto poi).
Passavamo le sere a ripassare e non andavamo a letto senza aver trangugiato ettolitri di camomilla, rimedio anticipatore di tutto lo Xanax e Lexotan che avremmo consumato negli anni a venire.
3 luglio 1979. «Alla luce degli ultimi avvenimenti mondiali e del riesplodere di fenomeni di violenza, di sopraffazione e di terrorismo che hanno investito le più diverse nazioni, il candidato sviluppi le sue riflessioni a proposito di questa affermazione di Goya: “Il sonno della ragione genera mostri”».
Non so esattamente che cosa ho scritto, ma conoscendomi so di non aver risparmiato sulla retorica, esagerando con le subordinate e disponendo a casaccio le virgole sullo sfondo di orizzonti di speranza nella futura pace del mondo.
Il ministro dell’Istruzione era Giovanni Spadolini, il dramma dell’anno – tanto per creare il solito clima di suspence di ogni esame di maturità – era il cambio a sorpresa della seconda materia all’orale. Nella nostra classe la cambiarono soltanto a due brave che tanto avrebbero preso ugualmente il voto massimo, e che, immagino, quella volta lì avrebbero preferito essere al nostro posto, leggermente più in basso nella classifica.
Il resto è scivolato via, “come lacrime nella pioggia”, come tutti i momenti della giovinezza che abbiamo alle spalle, come tanti ricordi prima e dopo quel luglio del 79.
Ma a prescindere dal risultato del tabellone finale (ricordate? I voti erano i sessantesimi e, per la cronaca, ottenni un onorevolissimo 52) siamo mai diventate mature? Lo siamo, oggi? Lo vorremmo essere?
Siamo, come da definizione del dizionario:”capaci di ragionare e comportarci da persone adulte; dotate di saggezza ed equilibrio? Serie, approfondite, ponderate?” A essere oneste, non ne sono così sicura. Soprattutto su “saggezza e equilibrio”, ma ditemi voi, magari sbaglio.
Sembrava che tutto, dopo, sarebbe cambiato.
O forse non è stato così e noi che eravamo lì, in quel momento e in quei banchi, oggi riusciamo a essere, nel tempo che dovrebbe coincidere con quello di questa benedetta maturità, felicemente, ancora e forse per sempre immature insieme.
Questo post è dedicato a Susanna, Roberta, Bai, Raffaella, Luisa, Susanna, Danila, Paola, Patrizia, Silvia, Pallina.
E a Linda.