E strano come a volte sembra che tutto quanto dipenda da una semplice, stupida cosa che non ti riesce, per quanto impegno ci possa mettere. Per dire, a me è successo quando – in una di quelle fasi catartiche in cui sembra assolutamente necessario dover espiare chissaché e dare una svolta decisiva alla vita – ho deciso di imparare a fare il polpettone.
Nel polpettone, come nella vita, si tratta di usare nelle giuste proporzioni una serie di ingredienti e avanzi, mescolarli per bene e cercare di farli restare insieme in un tutt’uno dal gusto gradevole e dalle forme decenti. Detta così sembra una delle ricette di GialloZafferano, di quelle che tutti possono fare dopo averle viste in TV. In realtà è tutto mooolto più difficile e infatti non ne venivo a capo: esistenza e polpettone, nonostante ripetuti e ostinati tentativi si risolvevano sempre in un nulla di fatto, in qualcosa di poco soddisfacente per il gusto e sgradevolmente approssimativo alla vista.
Anche se seguivo onestamente la ricetta e cercavo di amalgamare le giuste dosi di carne e pazienza, uova e ottimismo, pane pesto e determinazione tutto mi si disfaceva tra le mani proprio quando pensavo di aver raggiunto un risultato accettabile. Potete immaginare a quali abissali livelli scendesse la mia autostima mentre sfornavo e mangiavo quei pasticci in teglia, perché comunque sono della generazione che è cresciuta pensando ai bambini dell’Africa e quindi non butto mai via il cibo.
La regola vuole che se il bersaglio grosso non è raggiungibile si debba procedere per avvicinamento, quindi : keep calm – ero già molto avanti – via il polpettone e avanti con le polpette. Gli ingredienti sono gli stessi ma l’obiettivo più modesto garantisce il risultato e la morale risulta abbastanza ovvia. E partendo dalla cucina ho iniziato a “polpettizzare” tutto quanto doveva essere rielaborato e affrontato: i dispiaceri, i sensi di colpa, le malinconie, gli sconforti professionali e le incazzature varie. Tutto quello che sembrava insormontabile, preso a petit morceau diventava abbordabile e quindi risolvibile. La mia autostima è risalita dagli abissi rischiando l’embolia e ogni volta che cucino polpette mi congratulo con me stessa.
P.S. Il polpettone della foto va da sé che non l’ho fatto io, ma Cristina Perino, braccio, cuore, anima e mente di un posticino meraviglioso a Torino in via Carlo Alberto dove ormai, quando mi prende voglia di polpettone vado a comprarlo già bell’e fatto e lo posso anche mangiare lì, magari sulle seggioline colorate in mezzo alla via pedonale, in queste prime giornate di sole.