L’Europa Unita delle Mamme

Quando eravamo ragazze a malapena sapevamo che esistesse un teologo olandese di nome Erasmo (da Rotterdam), autore dell’Elogio della Follia e mai avremmo immaginato che proprio Erasmus sarebbe diventato l’acronimo di cazzeggio mascherato da programma di studio per i nostri figli e una grandissima opportunità per noi, le loro madri, di visitare in lungo e in largo l’Europa.

Passati i primi momenti di tristezza per la sindrome del nido vuoto, le madri italiane con figli in Erasmus hanno iniziato a guardare il lato positivo della faccenda: si stava presentando un’ottima occasione di espatrio periodico, con abbandono temporaneo del tetto coniugale diventato un po’ noioso con la sua routine. Per di più senza traccia di sensi di colpa, grazie ai voli low cost e alla perfetta scusa di andare a far visita al pargolo lontano.

Valencia, Parigi, Berlino, Barcellona ma anche Lisbona, Praga e Amsterdam e non solo sono diventate mete di pellegrinaggi di mamme che postano su FaceBook selfie nei musei, sulle ruote panoramiche , sul sagrato delle cattedrali, nei bistrot carini dove ordinano specialità locali (sia solide che liquide) manco fossero dei redattori della Lonely Planet.

I figli espatriati, dopo qualche attimo di terrore in cui hanno temuto per la loro privacy e la libertà faticosamente conquistata a centinaia e centinaia di chilometri da casa hanno capito che una mamma all’estero, libera da papà, è da considerarsi un’occasione da non perdere.

Appena arrivata mette ordine, districandosi a fatica tra la quantità di cavi e cavetti che sbucano da ogni presa, a volte (non sempre)attaccati a qualche telefono o computer in quantità superiore al numero degli occupanti effettivi dell’appartamento. Subito dopo libera il frigo dagli avanzi di cibo non identificato e comunque andato a male, per poi accorgersi della mancanza di qualche irrinunciabile pezzo di arredo e, dopo aver individuato la locale sede IKEA, provvede a rendere l’ambiente più casalingo e confortevole. Compaiono così fondamentali abat jour (utili per trovare la posizione del letto al rientro da una sbronza), materassi acaro-free (i precedenti sono stati buttati, non senza prima essere stati attentamente esaminati alla ricerca di tracce organiche sospette) e divani Ektorp (ma dovrebbero cambiargli il nome in Erasmus) che saranno lasciati in dotazione all’appartamento, tanto saranno già stati abbondantemente ammortizzati.

Dopo queste prime operazioni e dopo un paio di selfie “di famiglia” giusto per far stare tranquillo il papà rimasto a casa e vantarsi su FaceBook, la mamma Erasmus, già informatasi in anticipo sulle cose da vedere/fare/comprare procede in assoluta autonomia, anche perché i tempi di veglia e sonno dei due (la mamma e l’espatriato) sono spesso agli antipodi.

La mamma Erasmus però non si cruccia e trascorre un bel weekend lungo documentato da un dettagliatissimo reportage fotografico da whatsappare alle amiche, e dato che ci ha preso gusto già si segna le cose da fare durante la prossima visita.

E si augura che una volta terminata l’università il pargolo/a esprima il desiderio di frequentare un Master o di accettare un lavoro qualificato in qualche Paese che non sia l’Italia, consentendole di allargare i suoi orizzonti.

Perché un cervello può anche essere in fuga dalle scarse opportunità di lavoro, ma mai dalla sua mamma.

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