Di una cosa è certa Liana Pastorin (nella foto), autrice del più divertente personaggio che mi sia capitato di incontrare recentemente in un romanzo: la Tipa di Torino non è lei, e ci tiene a ribadirlo a chiunque glielo chieda.
Perché la Tipa di Torino è una stronza, ma di quelle interessanti.
Con la star di “Controcanto”, il suo primo romanzo appena uscito e pronto per essere messo nella valigia delle vacanze, Liana racconta quello che siamo noi, le tipe (con la minuscola) di Torino, lasciandoci anche tutto lo spazio necessario per riuscire a riconoscere fra le righe questa o quella torinese famosa e conosciuta o magari la nostra vicina di casa o la collega di lavoro. Insomma, ci apre praterie di identificazioni vere o presunte.
La Tipa indossa guaine contenitive e tacchi alti, fa un mestiere moderno, strapazza la povera segretaria che per sopportarla si rifugia nella musica, si impiccia ma con savoir faire, è campionessa di bon ton, dice di sé stessa. Come tutte le tipe di Torino ha uno stile decisamente personale: understated con intelligenza e molta ironia. Insomma è quel personaggio che per metà del libro vorresti prendere a schiaffi e per l’altra metà ti fa ridere. Proprio come certe torinesi, che ti fanno scappare la pazienza ma che poi, in fondo, le si adora proprio per questo.
È isterica al punto giusto, razionale oltre misura e il suo vocabolario è così chic e old money da farle intercalare l’inglese al dialetto torinese o milanese. E tra la tote bag, le sneakers e le call ci infila il bagnet verd perché usare solo inglesisimi fa così “maranza con la tuta gold” che le vere torinesi inorridiscono al solo pensiero.
E a proposito di stile, la Tipa non resiste alla tentazione di fare – tra sé e sé – la stylist alla Questora (questo romanzo è pieno di personaggi bellissimi) proprio come noi quando commentiamo gli outfit altrui. Il “tubino questurino”, che unisce femminilità e senso delle istituzioni, è un’invenzione geniale da inserire nei manuali di stile o almeno tra le divise ufficiali delle forze dell’ordine.
“Senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa”, diceva Umberto Eco. E c’è tanta torinesità da esportazione in questa vicenda in cui gli splendidi panorami – siamo a Procida – intersecano il thriller, i disturbi della psiche si sovrappongono alla musica, l’enogastronomia isolana fa crossing con le eccellenze turistiche di Savigliano (tranquille, ci sono anche ammmore e sesso) e ogni personaggio è un cammeo (spoiler alert!)
Spero che Liana mi perdoni se in questo post il suo personaggio sgomita per essere in prima fila, ma la colpa è sua: chiamare uno dei protagonisti “La Tipa di Torino”, senza nemmeno un nome di battesimo, significa servirmi l’argomento su un piatto d’argento e non potevo farmi scappare l’occasione.
La sua maestria nel disegnare i personaggi d’altronde era già evidente nella raccolta di racconti “Mille e una Venezia” di qualche anno fa e spero che nessuno mi accusi di lesa maestà se paragono la Tipa di Torino all’ archetipo di tutte le Torinesi: quella Anna Carla Dosio a cui si avvicina moltissimo, non uguagliandola ma giustamente aggiornandola.